Da qualche tempo l’uso del cosiddetto “cloud storage”, ossia la tecnologia che permette agli utenti di salvare i propri dati e i propri documenti su hard disk per noi invisibili, ma che fisicamente, in gran parte, si trovano dall’altra parte dell’oceano, negli Stati Uniti, è decisamente aumentato grazie alla comodità e semplicità del servizio.
Eppure non è tutto oro quel che luccica e proprio su internet ultimamente molti servizi offerti nascondono problemi legati a questioni di privacy e tutela dei dati personali.
In realtà non si tratta di una novità, già dal 2008, infatti, l’amministrazione del presidente George W Bush, ha introdotto un provvedimento, il Foreign Intelligence Surveillance Act (FISA), rinnovato lo scorso Natale, secondo il quale le agenzie governative statunitensi possono avere libero accesso a tutte le informazioni memorizzate da utenti stranieri sui server di società americane.
Questo vuol dire che se avete salvato i vostri dati su Google Drive, piuttosto che su Apple iCloud o Amazon Cloud Drive, i vostri documenti possono essere consultati senza alcuna restrizione dalle autorità statunitensi, mentre voi siete all’oscuro di tutto.
Ma non solo: tutte le informazioni che vengono raccolte, attraverso dei sistemi molto più complessi e precisi rispetto ai motori di ricerca che siamo abituati a utilizzare dai nostri pc, possono essere conservate e utilizzate a fini politici.
Come detto, ciò è permesso dal 2008, ma oggi, con l’uso sempre più diffuso dei sistemi di cloud storage, il problema sta diventando veramente serio.
Per difendere il sacrosanto diritto alla privacy (ormai sistematicamente violato in tutti i modi possibili), attivisti e legali di mezzo mondo stanno alzando la voce. Lo stesso Google, il noto motore di ricerca, attraverso un portavoce, ha chiesto maggiore trasparenza alle autorità americane. E se interviene una delle aziende che ha avuto i maggiori problemi con il diritto alla privacy, vuol dire che il problema è grave ed esiste davvero.
Fonte: The Indipendent