L’hacktivism, in breve, si ottiene combinando l’attività di pirateria online (con entrambe le connotazioni, buona e cattiva) con l’attivismo politico.
L’hacktivism è oggigiorno un fenomeno di rilievo. Negli ultimi tempi sentiamo sempre più spesso parlare di attacchi ai sistemi informativi aziendali operati da hacktivisti. Come i criminali dieci anni fa hanno compreso che Internet poteva diventare uno dei loro campi d’azione preferiti, molti utenti Internet hanno scoperto nel 2010 che il web potrebbe diventare una piattaforma di protesta collettiva. E così come alcuni attivisti entrano illegalmente in impianti nucleari e altre proprietà private, gli attivisti informatici entrano in aree digitali private. Se bloccate, le operazioni degli attivisti rimangono confinate a scherzi di cattivo gusto, ma alcune possono essere collegate ad attività illecite (come il furto di dati bancari). Il valore di queste violazioni è spesso discutibile e difficile da comprendere.
Incoraggiati da Anonymous, che ha afferrato questo concetto qualche tempo fa, gli attivisti informatici sono stati molto attivi tra il 2010 e il 2011. Gli attacchi DDoS (Distributed Denial of Service) perpetrati ai danni di aziende ed enti sono sempre più frequenti e nessuna organizzazione è intoccabile a priori perché le motivazioni che spingono questi cyberattivisti ad agire non sono sempre chiare.
Ma chi sono questi attivisti del web? Quali sono i pericoli concreti per le aziende? A questa e altre domande risponde il White Paper pubblicato da McAfee, che approfondisce in particolare questi aspetti:
- Il movimento Anonymous
- Megaupload
- Social network e siti web
- Strumenti DDoS (Distributed Denial of Service)
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